1980·04·03 - LottaContinua • AAVV & Fagioli·M (tre streghe, uno scienziato)

Tre streghe… e uno scienziato


✩ (Arkbase)

Intervista

Massimo Fagioli è lo psicanalista “selvaggio” più chiacchierato d’Italia. “selvaggio” è definito da quasi tutta la stampa e da quella corporazione che è la società psicoanalitica italiana; per noi è un personaggio e un fenomeno, che tenta una “provocazione” scientifica e metodologica, e per questo abbiamo voluto “riscoprirlo”, convinti che sia comunque utile allargare la conoscenza e la discussione su queste questioni

A cura di Marta Baiardi, Enea Cuminelli, Riccardo Tasselli, Angelo Morini
Lotta Continua — 3/4/1980 (giovedì 3 aprile 1980)




Espulso dalla Società Psicoanalitica Italiana per il suo rifiuto radicale di Freud, Massimo Fagioli è il conduttore dei seminari di psicoanalisi collettiva che si svolgono a Roma tre volte la settimana. Nella pratica stessa di questa “cura psichica di massa”, Fagioli afferma la sua critica totale a Freud: l’uomo non è “narcisista” — cioè privo di ogni dinamica materiale e sociale — ma un “animale sociale”; l’inconscio non è “naturalmente” perverso, ma la perversione e la violenza sono storicamente e socialmente determinati; l’essere umano non è “originariamente” pazzo. Contro Freud, Fagioli afferma la novità e “la provocazione” della sua scoperta scientifica: sinteticamente, l’istinto di morte - fantasia di sparizione, la rabbia - introiezione, l’odio - negazione (le tre streghe: indifferenza - bramosia - invidia, che fanno la pazzia umana); e propone il suo percorso-sbocco terapeutico: il desiderio - sviluppo, la recettività - creatività, l’investimento sessuale: cura, ricerca e guarigione - inconscio, coscienza, comportamento.

Liberarsi delle tre streghe — quindi — e lavorare alla ri/conquista del proprio io interno, non astratto, ma quale si è determinato nel rapporto materiale del feto con il liquido amniotico: è l’inconscio mare calmo, una sorta di fantasia - ricordo che ogni uomo deve ritrovare nella dinamica psicanalitica collettiva.


•  Lei è uno psicologo, uno psicanalista, uno psichiatra o un profeta, benefattore dell’umanità?

Psichiatra.


•  Quale è la storia dei seminari, vista dalla parte dell’analista?

No! La storia dei seminari come è nei fatti. Un collega, Lalli, mi disse «perché non vieni a fare qualche supervisione ai colleghi? Tu hai esperienza». Il primo gruppo erano 15 psicoanalisti che mi portavano dei casi. Io cominciai a dare una certa interpretazione: guardate che il “nonno” è Freud, chi distrugge gli esseri umani è Freud… Nel giro di una settimana gli analisti se la squagliarono; ma le porte ormai erano aperte e cominciò ad entrare gente. Ci fu anche uno scontro con lo stesso Lalli, perché quando la stanza cominciò ad essere piena, lui disse «chiudiamo» ed io invece risposi «non si chiude proprio niente, i seminari rimangono aperti»… Cominciò a venire altra gente. Non so chi erano, uno studente, uno specializzando, la ragazza dello specializzando; io andavo là, trovavo un certo numero di persone, cominciava una certa dialettica, finché nel gennaio del ’76 — mi ricorderò sempre — una ragazza cominciò «io ho fatto un sogno»… Io non avevo chiesto niente, «benissimo, sentiamo il sogno». E cominciò l’analisi collettiva, vennero altri sogni, le persone divennero 300, si fece un altro seminario, due, tre, quattro.


•  Quali progetti per i seminari? Come possono andare a finire?

Non faccio il chiromante. Io guardo la situazione. Ogni volta che vado, posso trovare 300 persone o la stanza vuota. Non so mai che cosa succede. Può essere un estremo teorico, ma la situazione è questa. Posso trovarmi davanti ad una situazione violenta, o di gratificazione, o di interesse, o di contestazione. Al momento, mi confronto con quello che mi si presenta.


•  Lei ha “chiuso” il seminario del martedì; si è esaurito da sé o è stata un’operazione di autorità?

La cosa maturava. Cominciò con tre o quattro interventi di impotenza, continuò come richiesta specifica di una situazione. Per cui cosa si sceglie di fronte al malato che è entrato in paranoia? Di andarci calmi, piano piano? O di dire direttamente «no, guarda, tu sei in paranoia e quindi le cose non vanno». E quindi chiudere.


•  L’Espresso, in un articolo di Stefania Rossini, la definisce uno “psicoanalista selvaggio”. Ma non le pare di avere assunto una figura di leader ponendosi molte volte al centro dei sogni dei suoi analizzandi?

Facendo lavori di questo genere bisogna scontrarsi con l’imbecillità più assoluta: forse Freud insegna. Primo: c’è un lavoro mio di 20 anni, per non dire di 30, riferendomi all’adolescenza; viene una ragazzuola, e chi è Stefania Rossini che pontifica?!… Quella ha capito tutto — io dico — evidentemente è uno psichiatra di 60 anni mascherato. Quella sa tutto di Marx, delle pulsioni dell’inconscio perverso, della malattia mentale. Ma cosa è questa storia del selvaggio? Io sono un medico, regolarmente laureato e regolarmente abilitato all’esercizio della professione; sono specializzato in psichiatria; ho concorsi vinti in ospedali psichiatrici; sono stato regolarmente iscritto alla Società psicoanalitica italiana; ho fatto tutto il tirocinio analitico… Se io fossi un ingegnere che fa lo psicoanalista sarei un selvaggio… ma nel momento in cui ho speso la vita a fare psichiatria, devo, continuare a fare psichiatria.


•  Allora parliamo del consenso…

Se c’è un certo accordo su cose elementari, per cui una carta geografica è una carta geografica e non un somaro, se ci si comincia a capire su queste cose, allora il consenso non è consenso di niente, è accordo. È accordo su certe formulazioni fondamentali, per cui l’invidia è invidia — dico io — non è desiderio, come dice Freud perché tutti sanno che l’invidia è l’invidia, non è desiderio. E se ci vogliono anni per arrivare a questo accordo, voi lo chiamate consenso… Dopo il discorso va ancora a fondo, la ricerca va ancora a fondo e si arriva ad un rapporto con la realtà, più ampio, più profondo, più intelligente.


•  Visti dall’esterno, i suoi seminari sembrano una riproposizione dell’ideologia post-sessantottesca, al posto dei castelli di certezze crollati in questi anni…

Bisogna fare un discorso un po’ più intelligente: a cominciare dall’illuminismo, gli esseri umani hanno iniziato a combattere contro il male. Prima non si combatteva, perché il male era mandato da Dio. Soltanto con l’Illuminismo e dopo la Rivoluzione francese, gli uomini hanno cominciato a ribellarsi alla distruzione e lì viene fuori la ricerca scientifica, viene fuori la batteriologia, cominciano a scoprire i germi. Ci si comincia ad occupare di altre distruzioni, oltre a quelle fisiche, da Marx allo stesso Freud. E lì c’è il punto della ricerca: Freud ha veramente voluto occuparsi della distruzione psichica, oppure ci ha raccontato che la distruzione psichica è ineluttabile, cioè ha riportato la situazione psichica al Medio Evo? Bisogna accettarla così come è, con rassegnazione? Ciò risulta regolarmente da tutte le sue opere. La colossale negazione di Freud è durata per ben 70 anni. Io ci sono andato dentro e mi sono ribellato. E non mi sono ribellato col sessantotto, cioè incazzandomi, litigando con la gente. Mi sono ribellato facendo un discorso teorico-metodologico. La gente, come si dice banalmente, «sarò matto ma non sono scemo»; la gente, la cerca, la cura psichica, perché la gente sta male. E nel momento in cui coglie, in maniera confusa, vaga, intuitiva, che c’è qualcosa, ci va.


•  La psicoanalisi allora cosa diventa: una terapia e quindi una strada di salvezza?

Essenzialmente una terapia, anche se poi la terapia significa scontrarsi non solamente con il conflitto intrapsichico: «sto male perché sono invidioso», ma «sto male anche perché c’è una cultura dominante che mi distrugge»; c’è il conflitto extra-psichico. E noi facciamo l’uno e l’altro.


•  Quanto c’entra nella cura la tua figura, la tua personalità, il tuo essere leader?…

Non è questione di leader, è una questione di medico che sa curare o non sa curare. Ora se le persone vengono da me vuol dire che evidentemente qualcosa so fare. È tutto molto pratico, molto concreto, non c’è niente di religioso. La mia prima nemica è l’alienazione religiosa, bisogna togliersi questi santini dalla testa — dico io.


•  Ci sono attualmente altre esperienze che vanno in questa direzione, oppure quella dei suoi seminari è l’unica?

Non è tampoco la vicenda, è tampoco il discorso scientifico. Io non ho mai trovato nessuno che mi abbia parlato di pulsione di annullamento, sennò l’avrei citato. Qui c’è un discorso scientifico, qui ci sono dei libri, dei testi, c’è la dichiarazione di una certa scoperta scientifica articolata; qui si tratta di discutere: è vera o non è vera. Quando Koch disse: «Signori miei qui c’è il bacillo», c’erano alcuni che gli dicevano: «Tu sei un ciarlatano perché ci sono i miasmi». C’è voluto un certo tempo di confronto — la dialettica — fino ad arrivare al punto in cui è assodato che la TBC è dovuta al batterio. Qui siamo nella stessa situazione. C’è un certo tizio che è venuto fuori, che sarei io che dice: signori miei, la malattia mentale è dovuta — per banalizzare — alle tre streghe, alla scissione triplice; a monte di tutto c’è questa situazione di indifferenza, di pulsione di annullamento, ecc… Adesso c’è la dialettica del confronto, vediamo. Ci sono i miasmi o c’è questa dimensione precisa?


•  Pensa di formare dei nuovi analisti o di rimanere l’unico conduttore dei seminari?

No. Assolutamente. È compito dello Stato, non è compito mio. A me interessa la cura, la guarigione, la realizzazione umana. Che dopo uno la realizzi facendo il falegname, il fabbro, l’architetto… sono cavoli suoi. I suoi conti se li deve fare con lo Stato, non con me; io non sono lo Stato. Se in mezzo alle centinaia di persone che vengono ai seminari, ci sarà qualcuno che ad un certo momento farà una preparazione, una formazione per cui sa le cose e va in giro a curare la gente, a me va benissimo ma non è compito che mi riguarda. Io non formo allievi; io ne ebbi di allievi, mi sono separato da tutti. Gli allievi sono pappagalli. Conduttori sono poi centinaia di persone, ma non voglio allievi.


•  Rispetto al lavoro dei seminari, un confronto dialettico su cura - formazione - ricerca non presuppone, secondo te, una teoria e una prassi in evoluzione? Come si configura la partecipazione della gente a questi seminari-ricerca? Lo sa che c’è gente che in due anni non ha mai parlato?

È la dimostrazione che non si tratta di nessuna dimensione, non dico religiosa, perché è una cretinata, ma nemmeno di idealizzazione, di leader. Nei seminari esistono le situazioni più varie. C’è chi arriva e parla immediatamente; c’è ci parla dopo due anni; ci sono persone che vengono, stanno lì dieci minuti e scappano; persone che tornano dopo un mese; persone che stanno tre o quattro volte e poi se ne vanno e poi ritornano. Ognuno stabilisce il proprio rapporto. Non sono io, io rispondo. Non sono io che intervengo attivamente. Io rispondo alle domande.


•  Il fenomeno di “quelli che vanno dal Fagioli” ti pare scevro da mistificazioni? È anche difficile confrontarsi con loro, avere rapporti con quelli che vengono ai suoi seminari è difficile…

Tenete presente che ai seminari vengono persone che all’inizio possono fare una situazione di idealizzazione che io per primo, nel momento in cui intervengono — dato che non obbligo nessuno a parlare — frustro. La frustrazione maggiore è che io sto con loro e non ho niente di privato, mi vedono quando mangio, quando fumo, quando sto con voi, quando vado a spasso. Abbiamo lavorato in Via Roma Libera a costruire i muri assieme. Mi sono rimboccato le maniche… Sono andato alle loro feste a ballare; c’è poi una dimensione di rifiuto di una norma che è assolutamente scema, e in questo hanno ragione. Che vengano ancora fuori con la storia del guru è troppo idiota — uffa! Che palle! Se certe persone che vengono ai seminari hanno acquisito delle esigenze, per cui vogliono che il rapporto con gli altri abbia una base accettabile, a me pare che abbiano perfettamente ragione.


•  All’interno dei tuoi seminari non abbiamo mai sentito una voce di dissenso…

Forse non hai sentito casino…


•  No, voci di dissenso rispetto alla terapia, al metodo, a te.

Si vede che non hai sentito bene. Le voci di dissenso ci sono tuttora. Per esempio mercoledì al seminario: «ma perché sei andato a quella trasmissione di Monica Vitti, “Gulliver”. È stato un disastro». «Non è che tu proprio sei cattivo, ma credo che sei un grande bambinone, perché ti sei lasciato fregare da Monica Vitti…» Ma più dissenso di così… mi dà del cretino… e che volete, che mi accoltelli?!… Il discorso dei seminari non è il mio, è collettivo, come si vede.

È che molte volte il dissenso è più profondo di quello della critica cosciente: sono sogni, in cui io devo rispondere per filo e per segno; perché nella terapia, quando si opera non si può sbagliare neanche di un centimetro perché sennò il paziente muore. Non è affatto vero che la gente è scema; e quindi se l’interpretazione è esatta la gente lo sa…


•  Quando tu allontani qualcuno dal seminario, è un’azione terapeutica?

La dimensione collettiva è terrorizzata in particolare dell’istinto di morte e dalla pazzia. E allora accade che tante volte viene una persona che blocca tutti quanti. I passivi, poi, mi stanno a guardare; vogliono stare a vedere come io mi comporto, in che misura e a che livello io faccio la mia dialettica di rifiuto. Se mi sbaglio o non mi sbaglio… Che l’analizzando è cretino, questo lo dice Freud: l’analizzando sa tutto.


•  Questa scelta non le pare che danneggi molto la persona che viene mandata via?

[*]
È il discorso del giudice che salta dalla finestra. È il discorso di quelle persone che a trent’anni vivono ancora con la mamma; si può elaborare la situazione interiore, ma è un fatto che quello se ne deve andare, deve fare il divorzio. E l’interpretazione è questa: esiste anche una realtà materiale, per cui non è che possiamo idealizzare la realtà psichica. «Va bene, io ho risolto tutti i miei problemi, ma continuo ad andare a letto con una che mi distrugge». No, se tu hai risolto i problemi, tu quella persona che ti distrugge la devi lasciare, devi fare il divorzio.


•  Perché porti gli occhiali da sole?

È un fatto, forse l’unico, che ho tenuto relativamente privato. È un fatto per cui a quattordici anni scoprii che la gente ha l’inconscio perverso: mi diedero una bastonata in un occhio… Questo era un amico… ma allora esiste un inconscio perverso, esiste una situazione latente, e lì cominciò la ricerca.


•  Sappiamo che ritiene l’omosessualità un annullamento.

L’omosessualità non è sessualità di niente: è tutto annullamento e negazione e istinto di morte. L’omosessuale non è sadico, cioè non picchia, non distrugge il corpo; mira alla distruzione della realtà psichica, perché non ha sessualità. È la massima mistificazione, la massima ipocrisia. Se ci riferiamo alla realtà psichica, io mi confronto con gli omosessuali e li rifiuto. Ma la loro realtà materiale io non la tocco, è intoccabile, quindi non c’è nessuna persecuzione. C’è il rifiuto dialettico, l’interpretazione, la cura, perché è un malato ed è un malato grave. L’omosessuale non sopporta il desiderio e la creatività; lo deve distruggere, perché se gli viene il desiderio si sfascia.


•  Ma tu non sei omosessuale?

No assolutamente.


•  Questo rifiuto che tu chiami dialettico, del malato incurabile e dell’omosessuale, non è tomista, pre-rivoluzione francese?

Ma senti, la dialettica comincia con Socrate, continua con Hegel, con Marx…


•  No, tomista, tomista…

Nel tomismo non c’è alcuna dialettica…


•  Appunto.





Qualche considerazione di quattro “invidiosi”


È per la verità strano, a circa cinquant’anni dalla morte di Freud, e a pochi giorni dalla scomparsa di Erich Fromm, sentire parlare con tanta sicurezza e animosità di “scoperte” nell’ambito della psicoanalisi. È anche un po’ sospetto che Massimo Fagioli parla di “sua” scoperta: fantasia di sparizione contro la identificazione proiettata; la castrazione umana, il rapporto interumano sadomasochistico trova la sua soluzione nell’indifferenza schizofrenica. Tale scoperta posta come pietra miliare nella lotta contro il freudismo.

Siamo infatti ormai da tempo abituati a valutare non tanto le “scoperte”, che con il pullulare di tante scuole non si contano più, quanto quei processi di ricerca scientifica che gradualmente approdano ad una coscienza sempre più profonda dell’uomo e del suo inconscio.

Egli è talmente sicuro che la sua è una “verità”, che si paragona a Koch, dimenticando che delle cose dell’inconscio niente è visibile al microscopio del reale, se non i risultati della malattia. La conoscenza di tale verità posta in maniera così manichea, porta alla presunzione (la quarta strega che forse è sfuggita all’analisi) di non accettare nessuna dialettica con Jung, Fromm, ecc. Eppure al primo nessuno può negare la scientificità delle ricerche etnologiche ed antropologiche che stanno alla base delle sue affermazioni sull’archetipo e sull’inconscio collettivo. Al secondo e a tutta la scuola socio-psicoanalitica francese, Mendel in testa, nessun piò togliere il merito di avere chiaramente posto il rapporto fra l’errore fondamentale della società capitalistica (la logica del profitto) e l’inconscio individuale; la lotta fra l’essere e l’avere. A entrambi nessuno può negare di essere stati dei grandi accusatori di quanto di borghese, di maschilista, di patriarcale c’era in Freud. È mai possibile che Massimo Fagioli sia riuscito a scoprire da solo la realtà intra ed extra-psichica dell’uomo senza alcun rapporto con Cooper, Jervis, Lacan, Adorno, Marcuse, tanto per fare alcuni nomi?

Lo stesso Freud così parlava della pulsione di morte: «come entrambe (pulsioni erotiche e di morte) si intrecciano nel processo vitale, come la pulsione di morte serva agli intenti dell’eros, sono compiti che restano affidati all’indagine futura. Noi non andiamo oltre il punto in cui una simile prospettiva rimane aperta».

Il vecchio scemo — come ama chiamarlo Fagioli — lasciava forse più strade aperte di quanto si pensi; probabilmente strade più larghe delle strettoie ideologiche dell’analista romano. Ma forse la formula del successo di cui gode Massimo Fagioli non sta tanto nelle sue scoperte, quanto nel fatto di aver capito come una generazione è uscita fuori dalla bagarre del post-sessantotto: senza madri, organizzazioni o partiti, senza padri né leader. Insomma senza certezze. L’avere intuito che la gente — i compagni — senza una reale e profonda separazione da queste sicurezze psicologiche sta ancora male. E allora? Ecco pronta una ricetta: un Marx giovanile (il Marx dei Manoscritti) che non tramonta mai, per la realtà extrapsichica, per ridare fiato ad una rabbia politica mai del tutto assopita; le tre streghe da utilizzare nell’interpretazione dei sogni.

Poi i seminari, nati in modo quasi casuale, con dinamiche unidirezionali nei confronti dell’analista; la terapia infatti non è propriamente “di gruppo”, ma “tampoco” in pubblico.

Lascia perplessi, infine, quel suo rifiuto-condanna dell’omosessualità e della masturbazione, considerata da questa “cultura” post-sessantottesca come malattia mentale e annullamento di sé, senza nessun riferimento a quanto è stato elaborato e prodotto dal femminismo e dai movimenti gay.

Eppure i seminari di Massimo Fagioli sono pieni e stracolmi perché — come dice lui — «è una questione di medico che sa curare e non sa curare. Ora se le persone vengono da me vuol dire che evidentemente qualcosa so fare».

Viene da domandarsi, allora, se la gente che per anni ha distrutto (dopo esserseli costruiti) miti, ideologie e certezze, oggi non se li coltivi ancora dentro, magari in altri campi, oltre il politico.

La via della liberazione interiore è più lunga di quello che si pensa; cerchiamo di non allungarla rifacendo due volte la stessa strada.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — il PDF un tempo consultabile sul sito dell’Associazione Culturale Amore e Psiche non risulta purtroppo più accessibile.


[*] «È il discorso del giudice […]»: il riferimento è al film ‹Salto nel vuoto› (1980), diretto da Marco Bellocchio, con Anouk Aimée e Michel Piccoli; per altri dettagli sul film, si può consultare wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Salto_nel_vuoto).

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[] https://associazioneamorepsiche.org/stampa/tre-streghe-e-uno-scienziato-a-c-di-marta-baiardi-enea-cuminelli-riccardo-tasselli-angelo-morini-lotta-continua-3-4-1980/
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