2006·02·03 - Repubblica • Allam·KF (volto profeta divieto)

Il volto del Profeta - storia di un divieto


✩ (Arkbase)



di Khaled Fouad Allam
Repubblica — 03/02/2006 (venerdì 3 febbraio 2006)


[A·1]• ±
In una celebre miniatura del XVI secolo custodita nel museo Topkapi di Istanbul, è rappresentato l’angelo [sic!] Gabriele che offre la città di Medina su un sontuoso vassoio al Profeta Mohammed. Accanto a lui ci sono altri personaggi, probabilmente i compagni del profeta, i famosi “califfi ben diretti” (Rashidun). Si nota una particolarità: il volto del Profeta che sta per ricevere in dono la città è uno spazio vuoto, privo di segni e di colori. Nel ritrarre il Profeta senza rappresentare il suo volto, il miniaturista più che una tradizione giuridica ha espresso un riflesso culturale, quasi antropologico, per cui nella civiltà islamica si è sempre trovata difficoltà nel ritrarre ciò che appartiene all’ordine divino.

[A·2]• ±~?
Si tratta della questione dell’aniconismo nell’islam, che si traduce nel divieto di rappresentare o personificare l’immagine di Dio, e più anche immagini umane [sic!]. Nell’arte islamica la necessità di relazionarsi a Dio con lo sguardo, di rivolgersi a una qualche immagine divina, è stata ripresa dal ruolo della calligrafia. L’arte calligrafica nell’islam compensa e sostituisce l’immagine, la rappresentazione iconica di Dio. È soprattutto la cultura araba che ha fatto proprio e amplificato questo divieto; al contrario nelle culture periferiche dell’islam — intendiamo per periferiche le culture che escono dalla geografia araba — il divieto di rappresentare le figure dei santi musulmani o dello stesso Profeta è stato meno rispettato nel corso della storia. In effetti, nelle miniature moghul (il regno musulmano dell’India), dell’impero turco-ottomano o della civiltà persiana, soprattutto nei periodi di maggiore apertura dei sovrani, si possono trovare miniature che rappresentano anche il volto del Profeta. Tutto ciò richiede di ragionare sul piano giuridico, forse più che sul piano teologico, e di chiedersi se davvero nell’islam esistano testi che vietano espressamente la rappresentazione. Nel testo coranico non vi sono indicazioni di questo tipo riguardo alla figura del Profeta. Mentre esistono riferimenti di questo tipo nella tradizione profetica degli Hadith (testi che riportano detti e gesta del Profeta), in particolare la Sunna di al-Bukhari. Un verso di quest’ultima recita: La’ an Allah al-mussawwirin (“La maledizione di Dio su coloro che rappresentano immagini”). Con tutta probabilità quelle parole del Profeta erano riferite all’idolatria della società preislamica; ma in seguito l’islam le ha interpretate in modo estensivo e massimalista, finendo per costruire una psicologia che rifiuta l’immagine come modalità di accesso alla spiritualità. Questa tendenza ha finito per diventare un divieto quasi assoluto, che però non è stato sempre rispettato. Ciò che si può affermare è che una parte del mondo islamico ha fatto prevalere un’interpretazione massimalista, vietando anche la raffigurazione iconica del Profeta, e indirettamente ponendo un blocco su tutta la creazione artistica nell’islam: perché, secondo un’interpretazione rigorista, anche altre arti come la musica sarebbero da vietare. Nei periodi di ripiegamento dell’islam o di irrigidimento delle società musulmane, tali questioni divengono facilmente anche questioni politiche. Inoltre, per capire meglio la questione del divieto di raffigurazione, bisogna considerare il livello antropologico, per osservare che questa cultura di rifiuto della personificazione iconica corrisponde anche a un rifiuto del corpo nelle società islamiche. D’altra parte, sin dall’inizio l’islam si è opposto a tutte le forme di idolatria, e ai culti delle diverse divinità che venivano rappresentate con immagini o statue; vietando la rappresentazione, l’islam nascente si distingueva dal cristianesimo e da altre religioni. Ma, come già detto, a livello giuridico non esiste un vero e proprio divieto. Perciò la questione è sempre stata molto dibattuta nella storia dell’islam, e ancor oggi il dibattito è aperto. Il wahabismo — la dottrina puritana dell’islam, nata alla fine del XVIII secolo nell’attuale Arabia Saudita — ha ulteriormente irrigidito quel divieto, considerando la sua trasgressione come infedeltà all’islam. All’epoca il wahabismo distrusse ad esempio le tombe di importanti santi musulmani, perché considerava blasfemo [sic!] qualunque rappresentazione iconica o culto che non fosse quello del Dio unico. Anche oggi un segmento del mondo musulmano è attraversato dal wahabismo, sotto diverse forme. Ciò spiega in parte le vivaci reazioni di molti musulmani alle vignette satiriche comparse su alcuni quotidiani europei. Questo episodio porta alla questione del rapporto fra sensibilità musulmana e democrazia come libertà di espressione. E in questo caso sono ambedue penalizzate.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — da completare.

NOTA: a questo articolo risponde, quasi 3 settimane dopo, un articolo di Marco Di Branco, pubblicato su “Left” (n. 7) del 24/2/2006 col titolo ‹L’immagine dell’islam› (qui)


[A·1]• Nel testo originale: «In una celebre miniatura […] è rappresentato l’angelo [sic!] Gabriele […]», meglio noto in Occidente come “arcangelo”, ma forse nella concezione islamica la distinzione non ha ragion d’essere; marcato con [sic!].

[A·2]• Nel testo originale: «[…] aniconismo nell’islam […] divieto di rappresentare o personificare l’immagine di Dio, e più anche immagini umane [sic!] […]», sembra mancare qualcosa (per un refuso?), oppure esserci qualcosa di troppo (per un editing incompleto del testo?); comunque è chiaro che l’aniconismo debba riferirsi sia al divieto di rappresentare il divino mediante figura sia a quello di rappresentare la figura umana — in quanto “creatura” a immagine del divino? — marcato con [sic!].
IBID.• «[…] La’ an Allah al-mussawwirin (“La maledizione di Dio su coloro che rappresentano immagini”)»: eppure “Al Musawwir” — The Fashioner: The one who arranges the shape of things in the best possible form — sembrerebbe essere uno dei nomi dello stesso Allah. Forse “coloro che rappresentano immagini” sono maledetti proprio «in quanto usurpatori della funzione creativa spettante appunto solo ed esclusivamente al Creatore», come afferma Marco Di Branco su “Left” n. 7 del 24/02/2006 (qui). Non è comunque chiaro se la corretta trascrizione sia “La’ an” oppure “La’an” (senza spazio).
IBID.• «[…] questa cultura di rifiuto della personificazione iconica corrisponde anche a un rifiuto del corpo nelle società islamiche»: l’espressione “rifiuto del corpo” si riferisce alla proibizione di esporre o rappresentare specifiche parti del corpo umano? — non solo i capelli delle donne, coperti in pubblico dal velo o da altre forme di copricapo, ma anche, per esempio, a quanto pare, le cosce nei maschi, anche nel corso di attività sportive. Notare che però queste proibizioni valgono “in pubblico”, e non nel privato; sembrerebbe pertanto inappropriato parlare di “rifiuto”.
IBID.• «[…] vietando la rappresentazione, l’islam nascente si distingueva dal cristianesimo e da altre religioni»: veramente anche il cristianesimo dei primi secoli attraversò una fase in cui le immagini erano più o meno proibite (giungendo a episodi di vera e propria iconoclastia); e di certo fra le “altre religioni” non può essere annoverata quella ebraica, altrettanto aniconica di quella islamica. Si riferisce probabilmente alle religioni non monoteiste, ma allora perché metterci il cristianesimo?
IBID.• «Il wahabismo — la dottrina puritana dell’islam […]»: la corrispondenza, seppure in apparenza poco appropriata, tra wahabismo e puritanesimo, si riferisce probabilmente all’interpretazione “alla lettera” dei rispettivi testi sacri. L’intento dei puritani era infatti quello di purificare la Chiesa d’Inghilterra, ritenuta eccessivamente compromessa col cattolicesimo, riconducendola a quanto stabilito nelle Sacre Scritture; si veda, ad esempio, wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Puritani).
IBID.• Nel testo originale: «[…] considerava blasfemo [sic!] qualunque rappresentazione iconica o culto […]», il maschile suona piuttosto strano, per la maggior vicinanza del femminile “rappresentazione”, sebbene la frase risulti sostanzialmente corretta dal punto di vista grammaticale per la presenza del maschile “o culto” — tuttavia “a orecchio” preferiremmo “blasfema”; marcato con [sic!].

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