2014·12·18 - BabylonPost • Ferrante·A • Pietro Greco: l’Europa in crisi d’identità riparta dalla scienza

Pietro Greco: l’Europa in crisi d’identità riparta dalla scienza

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Intervista al giornalista e divulgatore scientifico autore del libro di storia della scienza: ‹La scienza e l’Europa, dalle origini al XIII sec.
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di Annalina Ferrante
BabylonPost — 18/12/2014 (giovedì 18 dicembre 2014)


Pietro Greco è, tra i giornalisti che si occupano di scienza, uno dei più accreditati. Non a caso, perché unisce, a una formazione scientifica ineccepibile (tra l’altro, è laureato in chimica) e una lunga esperienza, doti di divulgazione, di competenza, di curiosità, di attenzione non solo verso la scienza in generale e il suo sviluppo storico, ma soprattutto verso il suo rapporto con la società, le sue implicazioni e i suoi effetti. In una parola, un intellettuale e un uomo di scienza a tutto tondo.

Una delle sue ultime fatiche è il volume ‹La scienza in Europa. Dalle origini al XIII secolo› firmato per L’Asino d’oro (http://www.lasinodoroedizioni.it/novita/libro/140/la-scienza-e-l-europa), giovane casa editrice romana con un catalogo così ricco, ricercato e attento nella scelta dei temi e degli autori che non meraviglia affatto che abbia affidato al nostro autore alcuni tra i suoi titoli più preziosi come i volumi su Margherita Hack e Lisa Meitner, della collana “Profilo di donna”, dedicata alle donne nella scienza, e questo volume.

La scienza in Europa. Dalle origini al XIII secolo› è il primo di una trilogia che sposa felicemente un tema complesso e originale come quello del ruolo decisivo della conoscenza scientifica per la formazione dell’identità europea, con un linguaggio assolutamente accessibile e una trama avvincente come un romanzo. Ma partiamo dall’inizio. Abbiamo chiesto a Pietro Greco come nasce l’idea di questo volume.

[Figura: {{*ExtraImg_135157_ArtImgLeft_210x313_}}]

•[A·4]•
«Stavo riflettendo anche insieme ad altri sul declino economico dell’Italia — racconta a “Babylon Post” —. Un declino però non solo economico. Siamo l’unico paese, tra i grandi d’Europa e tra quelli extraeuropei con economia più avanzata, che ha un modello di sviluppo senza ricerca. Da noi è plateale. Mi sono chiesto perché. Anche l’Europa sta vivendo attualmente delle difficoltà. La prima è certamente identitaria: noi non ci sentiamo a sufficienza cittadini europei. È la prima difficoltà che notano e mettono in rilievo studiosi, storici, filosofi che io cito. Questa crisi identitaria è intrecciata anche ad una crisi di tipo economico».

Vale a dire?

•[D·1·1]•
Da quasi dieci anni il declino dell’Europa (quello dell’Italia è di molto superiore, quasi trent’anni!) è quantitativamente misurabile — per esempio, banalmente, il PIL cresce meno che in altri Paesi del mondo — e si è manifestato nell’ultima crisi economica dalla quale l’Europa non riesce a uscire.

Però la crisi è più complessiva, è una crisi di identità, come dicevo, non si sa che ruolo deve avere questo continente, tant’è che stanno prevalendo gli egoismi nazionali rispetto all’idea di unità europea.

Allora mi sono chiesto come mai. Alcune banali analisi di tipo statistico hanno dimostrato che quando noi parliamo di Europa, parliamo di diversi frammenti che non si sono significativamente unificati e ognuno di essi si muove ad una velocità diversa e verso direzioni diverse. Esiste un’Europa che presenta maggiori difficoltà economiche e sociali ed è quella, guarda caso, che investe meno in ricerca scientifica e che non ha sviluppato un’industria dell’alta tecnologia. È l’Europa del sud, del Portogallo, della Spagna, dell’Italia, della Grecia, di Cipro, Malta.

Poi c’è un’altra parte, quella più antica. Ovvero l’Europa che ha contribuito alla formazione dell’Unione europea e che è la parte più centrale, quella che affaccia sulla Manica e che comprende la Francia, la Gran Bretagna, l’Irlanda. Certo, questi Paesi sono molto diversi fra loro, stanno sicuramente meglio dei paesi del sud ma anche loro fanno fatica a tenere il passo con il resto del mondo.

Ci sono i paesi che si adattano a nuovi andamenti come per esempio la Gran Bretagna che, dopo una profonda crisi industriale, si sta specializzando sempre più nella finanza.

Seguono i paesi ex comunisti che presentano certamente una situazione economica peggiore della nostra, ma hanno quello che i matematici chiamano una “derivata positiva”, ovvero stanno migliorando velocemente la loro condizione.

In pole position i paesi che investono di più in ricerca scientifica come la Slovenia, l’Estonia, la repubblica Ceca, mentre sono in maggiori difficoltà quelli che investono meno.

E poi c’è il frammento più grande che non è affatto in difficoltà ed è quello che ruota intorno alla Germania e di cui fanno parte l’Austria, la Svizzera fino ad arrivare, alla Scandinavia. Questi paesi reggono perfettamente il confronto con il resto del mondo, anche con le parti più dinamiche e guarda caso sono i paesi che investono di più in ricerca scientifica.

[Figura: {{*ExtraImg_135158_ArtImgLeft_300x200_Sequenza di Fibonacci applicata all’architettura}}]

Qual è il ruolo della scienza e della conoscenza in questo scenario?

•[D·2·1]•
Partendo da questa realtà, con un’Europa divisa in frammenti che si muovono a velocità e in direzioni diverse, considerando che alcuni reggono bene il confronto con il resto del mondo e che altri invece sono in difficoltà, è evidente che in questo la scienza ha una sua responsabilità, allora mi sono chiesto se la scienza fosse la causa del declino europeo.

Le prime considerazioni portano a dire che la scienza è stata l’elemento fondamentale che ha consentito a questo piccolo e marginale continente di diventare nel XV - XVI secolo il continente leader del mondo.

•[D·2·3]•
Purtroppo anche militarmente, ma non solo: la democrazia è nata qui, il welfare, la grande economia, l’industria sono nate qui almeno fino a quando ha cominciato ad avere delle difficoltà con l’innovazione tecnologica e queste difficoltà hanno prodotto due guerre mondiali che debbono essere lette, a mio avviso, come il frutto di una società che aveva un comportamento ambiguo, non risolto con l’innovazione. La modernità creava nuove condizioni, ridefiniva le classi, i ceti sociali, chiedeva grande impegno. C’è stata una reazione che ha prodotto un malessere che poi si è tradotto in guerra tra le nazioni. Questa incapacità di accettare la modernità e governarla ha avuto come punte negative avanzate il fascismo e il nazismo.

Quando e come si è sviluppato il declino?

Il declino ha avuto il suo apice negli anni trenta, quando le leggi razziali in Germania e poi in Italia hanno dato la misura di quanto era forte il problema nei confronti della modernità perché dalla parte di Europa occupata dal nazifascismo sono stati esiliati proprio gli intellettuali e in particolare gli scienziati.

Pensiamo che fino al 1933, un terzo dei premi Nobel assegnati dal 1900, anno di nascita del premio, era tedesco e un terzo dei premi Nobel tedeschi scientifici erano di ebrei. Nei trent’anni successivi il 50% dei premi Nobel sono stati americani e addirittura il 60-70% anglo-americani: è chiaro che con l’avvento del nazifascismo c’è un passaggio di consegne, l’asse centrale della scienza è passato dal centro Europa, dalla Germania, agli Stati Uniti ed è lì che inizia un primo declino.

Dopo la seconda guerra mondiale l’Europa è riuscita a tenere il passo, anche se il testimone della ricerca scientifica è passato agli USA ma oggi fa fatica a reggerlo. Faccio solo due esempi: la media mondiale degli investimenti in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico il 2% del PIL e in questo momento l’Europa è leggermente al di sotto. Quindi non solo siamo terzi dopo l’Asia e gli Usa, ma siamo anche in termini relativi più lenti della media mondiale. Pensiamo che solo fino a 100 anni fa, nel 1910, 1920, 1930 l’Europa aveva pressoché il monopolio assoluto della scienza e siamo passati da una situazione di monopolio ad una situazione di incipiente marginalità.

[Figura: {{*ExtraImg_135159_ArtImgLeft_300x200_L’omicidio di Ipazia}}]

Sei partito da questa considerazione per affrontare un lungo viaggio storico a cercare le radici della nascita della scienza in Europa e come questa nascita abbia fatto da collante all’unità europea. Quali sono i punti significativi?

La storia non si può tagliare con l’accetta ma la scienza non è nata nel XVII secolo in Europa, anche se in questo periodo ha avuto uno sviluppo importante e decisivo per cui è legittimo, secondo me, parlare ancora di rivoluzione scientifica del ’600.

Una scienza epistemologicamente matura, molto moderna, e con dei risultati teorici e pratici molto importanti si è sviluppata in epoca ellenistica a partire sostanzialmente dal III secolo a.C. Faccio due nomi: Euclide e Archimede. Non sono gli unici, ma sono quelli che sono ancora noti a tutti almeno quanto Galileo e Newton, scienziati di valore assoluto.

•[D·4·3]•
La scienza, ne sono convinto, nasce in questo periodo soprattutto nel bacino mediterraneo orientale, in Egitto, in tutto il Medio Oriente e in parte nella stessa Grecia. Poi seguono diverse fasi in cui il suo sviluppo si interrompe. La prima fase accade quando i Romani occupano il Mediterraneo, la seconda verso il I-II secolo d.C. e una terza fase si conclude con Ipazia. Dopo il suo assassinio nel 415 inizia il declino della civiltà romana.

È particolare che fai coincidere la fine di un periodo di sviluppo scientifico e la crisi successiva con il tragico assassinio da parte dei parabolani cristiani, di una donna, una scienziata, icona del libero pensiero come Ipazia…

Penso che sia una metafora più che una causa: con Ipazia viene a mancare, si esaurisce quel filone di scienza ellenistica che era riuscita a sopravvivere fino al IV-V secolo d.C.

Non a caso Alessandria d’Egitto, pochi lo ricordano oggi, è stata la capitale mondiale della scienza per circa 700 anni, un periodo lunghissimo in cui questa città è stata veramente il centro dell’innovazione e del pensiero scientifico.

•[D·5·3]•
La società romana era stata straordinaria nella politica, nel diritto, in alcuni ambiti dell’ingegneria, tant’è che molti manufatti romani restano ancora oggi. Ma come capacità di interrogare la natura sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista sperimentale non ha prodotto alcun risultato. Nella civiltà romana semplicemente la scienza non c’era. Probabilmente per come era strutturata la sua economia che non aveva bisogno di particolare innovazione.

•[D·5·4]•
Io cito sempre una bellissima frase utilizzata da uno storico della matematica Carl Boyer “l’unico contributo che i Romani hanno dato allo sviluppo della matematica è quando Cicerone è andato a Siracusa e si è accorto che avevano sepolto Archimede in maniera non degna e quindi gli fa comporre una tomba degna”.

[Figura: {{*ExtraImg_135162_ArtImgLeft_300x150_}}]

Che cosa succede dopo?

Noi abbiamo testimonianze di una scienza, certamente non al livello di quella ellenistica, ma importante in India, in Cina, comunque in tutto l’estremo oriente. Ci sono due teorie a proposito dello sviluppo della scienza prima del XVII secolo. La prima è che la scienza sia nata indipendentemente in tutti questi centri. La seconda, che la scienza sia nata sostanzialmente in epoca ellenistica nel bacino del mediterraneo e poi si sia diffusa in tutto l’oriente estremo per poi svilupparsi autonomamente.

•[D·6·2]•
Io penso che la scienza cinese e indiana si sia sviluppata effettivamente dopo le contaminazioni più o meno dirette che ha avuto con la scienza ellenistica. Ma questo è un discorso che esula dal libro. La cosa importante è che c’è stata una fase successiva che è nata intorno al VII-VIII secolo a.C. che ha fatto sì che la scienza ellenistica venisse recuperata, fatta propria, metabolizzata producendo innovazioni da parte degli arabi.

Gli arabi hanno tradotto dal greco tutti i grandi classici della filosofia e della scienza ellenistica. A Damasco esisteva una importantissima scuola di traduzione sistematica, poi trasferita a Bagdad che, dopo Alessandria, è stata capitale mondiale della scienza. Importante non solo perché è stata fatta scienza attiva ma anche perché tutti i testi sono stati tradotti in arabo dal greco, dal siriano e perfino dal persiano.

Gli arabi avevano inoltre una grande capacità di contaminare e di contaminarsi. C’era un flusso di scambi culturali davvero importante e in questo flusso c’erano anche gli scienziati arabi che andavano e venivano, che si confrontavano con indiani, persiani. Gli arabi avevano addirittura un intero quartiere di una città cinese, l’imperatore cinese gli aveva concesso di vivere secondo le leggi dell’Islam.

Uno degli elementi che a noi resta, il più importante dal punto di vista squisitamente teorico, è l’assunzione, grazie a questa contaminazione, dei numeri indiani e la numerazione posizionale, che utilizziamo ancora oggi e che era enormemente superiore al modo di computare della numerazione latina. Gli arabi l’hanno assunta dagli indiani, l’hanno acquisita loro e poi l’hanno restituita a noi.

Quando è nata l’Europa?

•[D·7·1]•
Quelli che noi chiamiamo i secoli bui del Medioevo, in effetti erano secoli bui per l’Europa. Per il resto del mondo, per gli arabi, l’India, la Cina, in realtà sono stati secoli luminosi. I flussi tra questi mondi non si sono mai interrotti neanche nel medioevo più prossimo a noi, ma la cosa era assolutamente asimmetrica: per ogni 20 novità che venivano dalla Cina noi ne portavamo una sola. La Cina era enormemente più ricca, enormemente più popolata e anche molto più sviluppata.

Contemporaneamente paesi dell’Europa più occidentale come Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna, la penisola iberica, sono state tagliate fuori dalla cultura scientifica e dalla tecnologia ellenistico-araba aperta all’oriente per molti, molti secoli.

E io penso che questo sia stata una delle cause della caduta dell’impero romano, che ha fatto sì che una nuova civiltà, rispetto a quella romana, sorgesse nel nostro continente soltanto intorno al X – XI secolo. È intorno a questi secoli che nasce l’Europa.

[Figura: {{*ExtraImg_135163_ArtImgLeft_300x201_}}]

•[D·8]• Gli arabi hanno effettivamente avuto una grande importanza nella diffusione della cultura scientifica. Tu fai ruotare [sic!] intorno all’opera del matematico Leonardo Fibonacci e al suo incontro con Federico II, imperatore straordinariamente colto che promosse non solo la scienza ma anche la letteratura attraverso la poesia della Scuola siciliana, la cui influenza portò alla nascita della moderna lingua italiana. E sia Fibonacci che Federico II hanno sviluppato le loro opere in un ambiente squisitamente arabo…

Sì. Che la civiltà araba fosse enormemente più avanzata di quella che c’era in Europa lo dicono alcuni fatti. Tra il 1100 e 1200, la città più popolata in Europa non raggiungeva i 100. 000 abitanti Forse li raggiunge Firenze nel ’200, Parigi, Napoli un po’ dopo. In Europa c’erano città come Cordoba che facevano 500.000 abitanti, la stessa Palermo aveva una popolazione compresa tra i 150 e i 300.000. A Cordoba dovrei aggiungere Toledo, che non aveva questa popolazione ma era una città culturalmente molto viva.

Toledo e Palermo sono le due principali città in cui avviene un fenomeno che non era mai accaduto prima: gli europei vivono a stretto contatto con gli arabi.

•[D·8·3]•
Al tempo stesso, carovane arabe attraversavano l’Europa con tutto il sapere che veniva dalla Cina per poi riportare in Cina le loro conoscenze. Di tutto ciò gli europei semplicemente non se ne accorgevano. Queste conoscenze transitavano per l’Europa ma nulla si fermava qui perché non c’era una domanda sociale di scienza, la civiltà in Europa era veramente molto povera e nonostante arabi ed europei fossero vicinissimi, non avevano contatti.

Quando l’Europa comincia a nascere, comincia a trasformarsi, ha inizio la civiltà urbana con il trasferimento di persone dalle campagne alla città, cresce una domanda culturale e la fonte per rispondere a questa domanda sono le grandi città arabe come Toledo e Palermo.

Come avviene la svolta?

•[D·9·1]•
Qui avviene quel fenomeno che era già avvenuto con le traduzioni dal greco in arabo: viene tradotta in latino tutta la scienza araba che sostanzialmente era scienza ellenistica. Vengono tradotti per la prima volta in latino per es. gli ‹Elementi› di Euclide che non era mai stato tradotto. Finalmente gli europei scoprono quella cultura scientifica che si era spenta con Ipazia ma che era nata 1500 anni prima e i primi a incontrare la scienza furono Fibonacci e Federico II, che rappresentano, lo sottolineo, solo la punta di un iceberg ben più grande.

•[D·9·2]•
Fibonacci è certamente il primo matematico creativo in Europa, quello che ha prodotto nuova conoscenza matematica e non a caso aveva studiato in nord africa formandosi nell’ambito della cultura araba. Aveva viaggiato molto, era stato a Bisanzio, a Bagdad, si era confrontato con i più grandi matematici del tempo e aveva acquisito una conoscenza matematica tale da scrivere il suo primo libro “Liber abaci”. Successivamente ne ha scritti altri in cui non solo ha riportato in Europa i numeri indo-arabi, cioè i numeri che noi utilizziamo, ma ha prodotto nuova conoscenza. Certo c’era stato Archimede, nato in Sicilia 1500 anni prima, ma apparteneva alla cultura ellenistica. Il primo europeo che contribuisce a formare una cultura europea e contribuisce creando nuova matematica è Fibonacci. Contemporaneamente, non è del tutto infondato ritenere che Federico II, imperatore re di Sicilia, sia stato il primo sperimentalista, il primo scienziato, filosofo naturale che ha utilizzato l’esperimento per fare filosofia e quindi, metaforicamente, il loro incontro, nel 1226 a Pisa rappresenta un po’ l’inizio della scienza in Europa. Fibonacci e Federico II sono la punta avanzata di un movimento che si andava formando e che si svilupperà negli anni successivi e tutto questo accade perché l’economia europea cominciava a sviluppare una domanda di cultura e innovazione e i nostri due scienziati cominciano a soddisfare questa domanda. È una cosa straordinaria.

[Figura: {{*ExtraImg_135164_ArtImgLeft_300x198_}}]

Straordinario è il ritratto che fai della corte di Federico II. Scrivi delle “porte” di Federico! Apre l’Università di Napoli, la prima università pubblica, rinnova la Scuola di Salerno. Poi c’è la poesia, i castelli. Sono le porte di un nuovo mondo…

Non è un caso che alla corte di Federico nasce la scienza europea, nasce la poesia italiana, nasce la lingua.

Io ritengo che la scienza, ancorché in questa fase iniziale, sia il collante dell’Europa che sta nascendo perché è uno dei linguaggi di una cultura comune. La stessa scienza comincia ad essere studiata, analizzata a Palermo, a Napoli, a Pisa, a Bologna a Montpellier, a Parigi, a Salamanca, a Oxford.

L’Europa comincia ad acquisire una cultura unitaria favorita dal fatto che in queste città ci sono delle università e in tutte queste università si parla la medesima lingua, ma soprattutto si insegnano ai giovani le medesime materie: chi fa medicina a Montpellier fa più o meno la stessa medicina che si fa a Salerno piuttosto che a Parigi; chi fa diritto a Bologna fa lo stesso diritto che si fa a Cambridge o Oxford. Leggono gli stessi libri e comincia a nascere questa comunità europea di scienziati e di uomini della cultura scientifica.

•[D·10·4]•
Io chiudo questo primo volume del rapporto tra scienza e Europa con Dante perché nella Divina Commedia ha assimilato tutta la scienza del suo tempo. Io lo considero una figura particolare perché è stato il primo a darci un insegnamento che è fondamentale ancora oggi: a dirci che questa cultura scientifica e filosofica, questa nuova cultura che stava invadendo l’Europa doveva essere democratizzata, doveva arrivare a tutti.

•[D·10·5]•
Tra l’inizio del ’200 e l’inizio del ’300 si chiude un’epoca e se ne apre un’altra: la conoscenza scientifica invade finalmente l’Europa e ne diventa il motore, Dante parla di democrazia della conoscenza. Una società se non è democratica non è una bella società e la conoscenza deve favorire lo sviluppo della democrazia.

Per concludere, l’Europa è l’ultimo dei continenti a conoscere la scienza ma una volta acquisita, e questo è il senso di questo mio primo libro, ne diventa il collante favorendo in questo modo la nascita e lo sviluppo della sua identità sociale e culturale.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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NOTA — Purtroppo da qualche tempo l’articolo non è più accessibile sul sito “Babylon Post” che lo aveva originariamente pubblicato; una copia rimane però tuttora disponibile nel sito “globalist” all’indirizzo specificato in calce alle presenti annotazioni. Tale copia è comunque sprovvista delle immagini che corredavano il testo; l’unica rimasta (e qui recuperata) è quella di apertura.

•[A·4]• Nel testo originale: «Stavo riflettendo […] sul declino economico dell’Italia — racconta a ‹Babylon Post› […]» “Babylon Post” è evidenziato in corsivo e non mediante virgolette (modificato).

•[D·1·1]• Nel testo originale: «[…] il PIL cresce meno che in altri paesi [sic!] del mondo […]» “Paesi”, usato come sinonimo di “Stati”, “Nazioni” andrebbe scritto con l’iniziale maiuscola (modificato).
•[ivi]• La consuetudine di far riferimento al PIL come indicatore del benessere della popolazione e dello stato di salute dell’economia è ampiamente diffusa ma ritenuta criticabile da diversi economisti “non allineati” al pensiero economico dominante.

•[D·2·1]• Nel testo originale: «[…] considerando che alcuni che [sic!] reggono bene […] e che altri invece sono in difficoltà […]» il doppio “che” è manifestamente un refuso (eliminato).

•[D·2·3]• Nel testo originale: «[…] una società che aveva [sic!] comportamento ambiguo […]» per un probabile refuso, è stato omesso “un” (inserito).
•[ivi]• «Questa incapacità […] ha avuto come punte negative avanzate il fascismo e il nazismo»: Greco sorvola (deliberatamente?) sulle corresponsabilità e sulle connivenze religiose, che notoriamente non vedevano (e tuttora non vedono) di buon occhio la “modernità”.

•[D·4·3]• Nel testo originale: «[…] in tutto il medioriente [sic!] e in parte nella stessa Greci [sic!]» sembra trattarsi di un doppio refuso nella medesima frase, dovrebbero essere “Medio Oriente” e “Grecia” (corretti entrambi).
•[ivi]• Nel testo originale: «[…] quando i romani [sic!] occupano il mediterraneo [sic!]» sembra trattarsi di un ulteriore doppio refuso nella medesima frase, dovrebbero essere “Romani” e “Mediterraneo” (corretti entrambi).
•[ivi]• Nel testo originale: «[…] la seconda verso il I-II [sic!] dopo c. [sic!] […]» per un ulteriore doppio refuso nella medesima frase, è stato omesso “secolo” (anche abbreviato con “sec.”), e “dopo Cristo” viene normalmente abbreviato come “d.C.” (corretti entrambi).
•[ivi]• «[…] una terza fase si conclude con Ipazia. Dopo il suo assassinio […]» per ulteriori dettagli su Ipazia (figlia di Teone, diminutivo di Teotecno, al quale succedette alla guida della scuola di Alessandria) e sulle vicende della sua morte vedi su wikipedia la pagina a lei dedicata (https://it.wikipedia.org/wiki/Ipazia).

•[D·5·3]• «[…] molti manufatti romani restano ancora oggi»: potrebbe stupire che i Romani fossero in grado di realizzare opere tecnicamente assai avanzate, pur trascurando la ricerca scientifica e non disponendo di un efficace sistema di istruzione. Oltre che in campo economico, anche in campo tecnologico essi erano probabilmente sfruttatori delle conoscenze realizzate altrove (soprattutto nei regni ellenistici), e quando — soprattutto per raggiunti limiti organizzativi — si arrestò l’espansione militare, dovette arrestarsi anche lo “sviluppo” tecnologico.

•[D·5·4]• Nel testo originale: «[…] uno storico della matematica Carl BOYER [sic!] […]» non si comprende perché “Boyer” debba essere scritto in tutte maiuscole (modificato). Dovrebbe trattarsi di Carl Benjamin Boyer (1906 – 1976), matematico e saggista statunitense (vedi wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Boyer).
•[ivi]• Nel testo originale: «[…] contributo che i romani [sic!] hanno dato […]», ma anche in questo caso “Romani” andrebbe scritto con l’iniziale maiuscola (modificato).

•[D·6·2]• Nel testo originale: «[…] intorno al VII-VIII secolo a.c [sic!]» è un refuso (del resto ripetuto più volte nel testo, seppure con varie modalità); dovrebbe essere “a.C.” (corretto).
•[ivi]• «[…] la scienza ellenistica venisse recuperata […] da parte degli arabi»: ma cosa intende Greco per “arabi” (ovvero “Arabi”)? Si riferisce alle popolazioni (anche non etnicamente imparentate) che all’epoca parlavano (e scrivevano) in arabo? Ad essere in grado di scrivere era ovviamente una minoranza di eruditi. E l’arabo non è detto che fosse una lingua unica ed uniforme; l’arabo parlato dai ceti popolari sicuramente differiva sia localmente sia da quello “classico” del Corano.

•[D·7·1]• Nel testo originale: «[…] in realtà sono stati un [sic!] secoli luminosi» è un refuso che fa comparire qui, indesiderato, un “un” che manca altrove (eliminato).
•[ivi]• Nel testo originale: «[…] assolutamente asimmetrica [sic!] per ogni 20 novità […]» per un refuso manca qui un segno di interpunzione, probabilmente “due punti” (ripristinato).

•[D·8]• Nel testo originale della domanda: «Tu fai ruotare [sic!] intorno […]» “Tu fai ruotare” che? L’oggetto si perde nel seguito della domanda (marcato con [sic!]).

•[D·8·3]• «[…] carovane arabe attraversavano l’Europa […]»: molto interessante — ma com’era possibile? Non siamo al tempo delle Crociate? — da approfondire. Poi le “carovane” uno se le immagina con cammelli o dromedari, poco probabili in un contesto ecologico europeo.

•[D·9·1]• Nel testo originale: «[…] viene tradotto [sic!] in latino tutta la scienza araba […]» è un’evidente discordanza; trattandosi di “scienza” dovrebbe essere “tradotta” (corretto).
•[ivi]• Nel testo originale: «[…] gli Elementi [sic!] di Euclide che non era mai stato tradotto [sic!]» innanzitutto “‹Elementi›” andrebbe evidenziato in corsivo, essendo il titolo di un’opera (corretto); poi era Euclide che non era mai stato tradotto, oppure erano appunto i suoi ‹Elementi›, nel qual caso dovrebbe essere “non erano mai stati tradotti”? (marcato con [sic!] in quanto è difficile ipotizzare un refuso). Ma al di là dei possibili errori o refusi, sia nel caso di Euclide sia in quello dei suoi ‹Elementi›, come fa Greco a sapere che non erano stati mai tradotti, essendo la documentazione originale dell’epoca andata quasi completamente perduta? Si tratta di una sua ipotesi? E nel caso, suffragata da quali elementi?
•[ivi]• Nel testo originale: «[…] i primi a incontrare la scienza [sic!] Fibonacci e Federico II […]» è probabilmente stato omesso il verbo “furono” (ripristinato).

•[D·9·2]• «[…] il suo primo libro “Liber abaci”»: in realtà, pare il titolo fosse ‹Liber abbaci› (con la doppia ‘b’); in ogni caso la versione pervenutaci non è la 1ª (del 1202, il cui manoscritto andò perduto), ma la 2ª (riscritta dallo stesso Fibonacci nel 1228), sulla quale si basò Baldassarre Boncompagni Ludovisi nel 1857 per la 1ª edizione a stampa. Dalle affermazioni di Greco sembrerebbe che il Fibonacci abbia introdotto il sistema numerico decimale nelle sue opere successive, ma non è così, come ben dimostra la citazione all’inizio della pagina di wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Liber_abbaci).

•[D·10·4]• «[…] Dante […] nella Divina Commedia ha assimilato tutta la scienza del suo tempo»: l’argomentazione non sembra molto convincente, e difficilmente si potrebbe definire la Divina Commedia un’opera di carattere scientifico — e tantomeno divulgativo. Gli intenti dell’Alighieri nello scriverla erano verosimilmente ben altri. Se poi al Fibonacci vogliamo accostare anche Dante per mettere il marchio italiano sulla nascita della scienza europea, allora è un altro paio di maniche (ma in questo caso stiamo facendo cattiva divulgazione e cattiva storia della scienza).

•[D·10·5]• Nel testo originale: «[…] si chiude un epoca [sic!] e se ne apre un’altra […]» è un evidente refuso, per cui è stato omesso l’apostrofo; deve ovviamente essere “un’epoca” (corretto).

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http://www.globalist.it/news/articolo/66852/pietro-greco-l039europa-in-crisi-d039identitagrave-riparta-dalla-scienza.html
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