2015·08·21 - Repubblica • DeGregorio·C • Le vittime parallele della coppia dell’acido

Le vittime parallele della coppia dell’acido

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Il piccolo appena nato, il giovane sfregiato e il dilemma dei giudici
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di Concita De Gregorio 
Repubblica — 21/08/2015

Bisogna respirare lentamente e aspettare che la vertigine, lo stordimento, quella specie di nausea che somiglia alla paura si depositino al centro del corpo. Poi, con calma, ripassare quel poco che si sa: i fatti. Sono poco, i fatti. Sono una sequenza di gesti di cui ci sforziamo di intuire l’origine. Congetture, supposizioni: brandelli di mondi popolati di riti iniziatici, ossessioni, prove di devozione. Subito a fianco il precipizio criminale. L’acido muriatico, il martello. Eppure i ragazzi erano lì, fino a ieri nelle loro stanze, a studiare, sentire musica e studiare. Vent’anni. Avete un figlio di vent’anni? Sempre, dopo, tutti dicono: non si poteva immaginare. I genitori: professori, impiegati. Con questi figli bravi a scuola: liceo Parini, sezione Brocca. Cattolica, Bocconi. Si sente, è contagioso e denso lo smarrimento dei genitori. Erano lì, i ragazzi: a studiare. E poi? E intanto? Da cosa si poteva capire, come si poteva fermare?

Dov’è la colpa, dove l’errore? Le vittime, prima di tutto. Le vittime non hanno colpa: soccombono. Passive nell’azione. Innocenti. Partiamo dalle vittime. In questa storia ce ne sono almeno due, e altre due scampate per un soffio. La prima vittima è Pietro Barbini: un ragazzo di 22 anni che in questo preciso momento indossa sul volto una maschera "rigeneratrice" per 18 ore al giorno. Quattordici interventi chirurgici, almeno due anni per capire quanti e quali danni abbia fatto l’acido e chissà quante altre operazioni. È a casa, al buio perché la luce fa male. Una vita bruciata, letteralmente. Fino al giorno prima dell’aggressione Pietro era quel bellissimo ragazzo nelle foto, liceo Parini sezione Brocca, 80 su 100 alla maturità, poi Economia a Boston, laurea imminente. Famiglia solida, fiera di lui. È il padre che lo accompagna all’appuntamento con i suoi aggressori. Un padre che dice vengo con te, ti accompagno. Bisogna immaginarselo, non è difficile. Perché Pietro è nell’elenco dei "colpevoli" da eliminare, giustiziare? Perché al liceo era stato compagno di classe di Martina, Martina Levato. Avevano avuto una storia. Anche lei brava a scuola, 92 su 100 alla maturità, poi la laurea alla Cattolica, poi il master alla Bocconi, Economia. Pietro, intanto, in America. Un giorno — lei ha già incontrato in un locale Alexander Boettcher "the King", è già dentro la spirale della "devozione" — Pietro e Martina si sentono di nuovo. Lei gli racconta. Forse gli mostra dei video. "Umilianti", dicono le cronache. Video in cui Alexander documenta come lei "obbedisca a ogni mio volere". Pietro — forse, si immagina — le dice ma perché fai questo? Forse le dice smettila, lascialo. Forse. Si indovina, da frammenti di atti giudiziari, che lui le dica quel che qualunque amico, qualunque compagno di banco, di studi, qualunque ex ragazzo direbbe.

È una brutta storia, Martina. Bruttissima. Questo, più o meno. Si scambiano messaggi su WhatsApp. Lei lo convoca ad un appuntamento. Pietro non sa, naturalmente, di essere il terzo o forse il quarto di una lista di ex ragazzi di lei da cancellare, secondo il rito che la lega al nuovo uomo e che prevede confessione, mea culpa, purificazione. Era toccato prima a Stefano Savi, scampato per miracolo all’acido. Pioveva, aveva un ombrello. Poi ad Antonio Margarito, anche lui studente di economia alla Cattolica: appuntamento con Martina, sosta in macchina, tentata asportazione del pene. Nove punti alla mano, ha visto in tempo il coltello. Ora tocca a Pietro. Due bottiglie di acido in viso. Erano in due, a tendere l’agguato, forse in tre. Rischia di perdere l’occhio destro, l’udito. Di certo ha già perso la vita che aveva immaginato. Il sonno, i desideri.

La seconda vittima è un neonato, Achille. La madre le ha dato il nome di un semidio, eroe vendicativo. Qualunque sia la sorte di questo bambino — che sia adottato, che lo crescano i nonni, che la madre possa vederlo o che le sia impedito — arriverà certo un giorno, per molto che lo si voglia tenere all’oscuro della sua identità, in cui scoprirà la sua storia. Nessuno sfugge alla propria origine, neppure quando non la conosce. Arriverà un giorno, per Achille. Che davvero non ha nessuna colpa, davvero non ha scelto e non sa.

In qualche modo, tuttavia, vittime sono anche le famiglie. I genitori. Rileggo i resoconti della telefonata del padre di Martina, professore di matematica, al padre di Pietro. È disperato. Immagino le madri. Leggo che il padre del presunto complice della coppia, Andrea Magnani, dice del figlio: era obeso, ossessionato dal fisico. Come se questo spiegasse. Anche Martina era ossessionata dal peso, prendeva anabolizzanti per dimagrire. Alexander le diceva "sei racchietta", poi si faceva in bagno un selfie alla tartaruga all’addome. In casa teneva manette, fruste, pugnali. Sarà un dettaglio, questa ossessione dei corpi. Ne sono tutti vittime, in questa storia. Tutti vittime del desiderio di essere belli di quella bellezza lì: quella da palestra, i’m the king , quella che viene bene nelle foto e ti fa entrare nei privèe da padrone. Tu sei racchietta, io sono il re: ricordalo. Poi il baratro, e la vertigine a guardarci dentro. Dicono le carte, a proposito di Martina: adorazione cieca, ansia psicotica di perdere l’uomo, prove di devozione, rituali violenti. Video umilianti, sesso come catena, tatuaggi fatti col bisturi sul volto. Buio. Black out, nero assoluto. Riemergono come relitti da un naufragio le lauree, i bei voti, le foto di classe, la dieta prima delle vacanze a Gallipoli, la versione di greco, una foto ridente su Facebook. Il tempo prima, il tempo dopo.

Qual è stato il momento, cosa è successo, dove? "Non credo nella cattiveria", ha detto Don Mazzi. Non resta che credere che si possa impazzire da un giorno a un altro, così. Anche questo è difficile, per chi ha figli ragazzi. C’è una storia fonda dietro questa storia orrenda. Un incubo di tanti, se non di tutti. Le vittime innocenti sono certo almeno due, sicuramente due. Uno ha vent’anni, l’altro pochi giorni. Dei carnefici, di quale veleno si siano avvelenati e di cosa li abbia spinti alle orribili loro colpe, non basta il verdetto di un tribunale a spiegare.
Né il rassicurante recinto della follia, no di certo. Questo è una storia in cui folli si diventa. Chiusi a studiare, fuori a bere e a ballare. La cosa più importante di tutte, la più difficile, sarebbe capire come, nel vuoto di cosa, perché.

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