2015·10·18 - CorLettura • Boncinelli·E • E l’etica laica creò il (nuovo) mondo

E l’etica laica creò il (nuovo) mondo

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di Edoardo Boncinelli
Corriere - La Lettura — 18/10/2015

Poche settimane fa la rivista scientifica «Science» ha dedicato quattro pagine a un argomento decisamente inconsueto per una pubblicazione del genere: lo sviluppo e la diffusione delle grandi religioni, quelle che tirano in ballo i cosiddetti Grandi Dei, vale a dire le divinità la cui predicazione ha chiari intenti moralizzatori.

Qualche anno fa lo psicologo americano di origine libanese Ara Norenzayan avanzò appunto una tesi molto interessante sul tempo e il modo con cui si sono originate e diffuse quelle religioni che fanno del comportamento morale dei fedeli un punto cruciale della loro predicazione. Come mai un tema del genere è trattato con ampiezza su una rivista come «Science»? Il punto in discussione, non sorprendentemente, è una possibile strategia per dimostrare, o confutare, sperimentalmente la veridicità della ricostruzione storica di Norenzayan.

Tutto parte dalla constatazione che gli dei delle più importanti religioni del mondo d’oggi sono dei moralizzatori, cioè premiano la virtù e puniscono, dopo la morte, le persone egoiste e crudeli. Per la gran parte della storia dell’umanità, tuttavia, gli dei di questo stampo hanno rappresentato l’eccezione. Se ci possiamo basare sull’osservazione delle popolazioni di cacciatori e di raccoglitori esistenti ancora oggi, per migliaia di anni i nostri antenati riuscirono a immaginare soltanto divinità prive di grandi preoccupazioni morali, cioè sostanzialmente indifferenti alle vicende umane e in particolare al fatto che un individuo si comporti bene oppure male.

Il punto centrale è quello di capire come popolazioni diverse ai quattro angoli del mondo siano giunte a venerare, invece, divinità con una spiccata inclinazione a una predicazione morale, e perché. Ogni cultura del genere non è giunta per caso, se seguiamo quest’idea, alla concezione di dei moralizzatori, ma è stata la fede in quelli che ha favorito lo spirito collaborativo dei fedeli e ha permesso la nascita e la sopravvivenza di società grandi e complesse. In tale ottica, senza un incentivo «soprannaturale» alla cooperazione, queste estese e complesse forme di civiltà non sarebbero state in grado di decollare. I grandi dei, onniscienti per natura, sanno sempre dove tu sei e che cosa alberga nel tuo animo. Una volta nati i Grandi Dei e le loro vaste società, la fede in questi ha contribuito a far sì che religioni diverse come l’islam o le convinzioni dei mormoni si diffondessero così tanto, attraverso la comparsa di gruppi veramente collaborativi e quindi vincenti o, almeno, assai più validi di altri.

Si tratta di un’ipotesi di vasto respiro, più comprensiva di molte teorie proposte dagli studiosi tradizionali di cose religiose, che di solito prendono in considerazione una confessione alla volta. Il loro contributo è stato fondamentale, ma adesso è arrivato il momento, dice l’articolista, di fare una valutazione più ampia e di cercare di verificarla.

Dati sperimentali raccolti in questi ultimi anni, sia in esperimenti di laboratorio sia in studi sul campo, hanno rivelato che gli adepti delle grandi religioni come il cristianesimo o l’islam sono più generosi con gli estranei e più altruisti di individui che seguono credi di tipo diverso. Norenzayan, la cui suggestiva tesi è esposta magistralmente nel suo libro ‹Grandi Dei. Come la religione ha trasformato la nostra vita di gruppo› (Raffaello Cortina, 2014), ritiene che tale correlazione tra la fede in divinità moralizzatrici e comportamenti diciamo così «prosociali» — inclinati cioè a perdere magari personalmente qualcosa pur di assicurare il benessere degli altri — sia in grado di aiutarci a comprendere l’evolversi delle diverse religioni.

In società di piccole dimensioni il comportamento prosociale non dipende dal credo religioso, ma piuttosto dal fatto che tutti o quasi si conoscono. Se qualcuno ruba o mente, prima o poi tutti lo verranno a sapere, e non vorranno più collaborare con lui. È insomma la paura di una brutta reputazione che spinge in questi casi gli individui ad attenersi agli standard della collettività. Quando le società crescono di dimensioni, un tale continuo monitoraggio sociale non è più possibile o è sempre meno facile. Non c’è così più niente che ci impedisca di trarre vantaggi dal lavoro e dalla buona disposizione d’animo degli altri, senza dare loro niente in cambio. Non restituire un prestito o non tenere fede alla parola data sembrano non avere conseguenze, se si sa che non si incontreranno mai più le persone danneggiate, e non esiste ancora un’amministrazione pubblica della giustizia. Ma se tutti fanno così la società crolla. E certo non può crescere.

Anche da un’esposizione tanto sommaria si capisce che si tratta di una tesi molto interessante. Ma è vera o, meglio, quanto è vera? Un team di ricercatori si propone ora di mettere alla prova le diverse affermazioni della tesi in questione. Per prima cosa, si tratta di estendere l’analisi su un maggior numero di casi, per verificare se sia sempre vero che una fede in divinità prosociali rende le diverse persone meno egoiste e ostili verso gli altri. In secondo luogo occorre verificare se sia sempre vero che le religioni moralizzatrici tendono a favorire società più estese e complesse. Infine, va considerata e valutata l’ipotesi che questa teoria sia in grado di predire con accuratezza quali religioni si espanderanno e quali no.

Si tratta di un bel programma di lavoro e non possiamo che essere curiosi sulle conclusioni che si raggiungeranno dopo tanto dispendio di energie. Occorre comunque notare che oggi la situazione è un po’ diversa e va evolvendo da vari punti di vista. C’è sempre meno corrispondenza fra gruppi religiosi e gruppi territoriali, così che spesso gruppi religiosi eterogenei si trovano fianco a fianco, distribuiti sullo stesso territorio a macchia di leopardo. In questo modo la forza coesiva della religione viene a convivere con una sua potenzialità dirompente, che comporta ogni genere di contrasti, generando anche laceranti dilemmi morali. Questo perché molti precetti morali sono uniformi all’interno di una stessa religione, ma spesso significativamente diversi fra una religione e l’altra.

Nessuno sa come, da questo punto di vista, la situazione potrà effettivamente evolvere. Circola da tempo però un’altra istanza, almeno in certi ambienti intellettuali e sociali occidentali: il ripudio di una morale religiosa, per abbracciare, invece, una morale autenticamente laica. Molti sono oggi convinti, incluso me, che si possano seguire i precetti di un’etica laica, figlia della cultura e della ragione, e svincolata da ogni imposizione di natura religiosa. Questa posizione, decisamente più moderna ed evoluta, anche se non sappiamo quanto diffondibile, mostra diversi vantaggi di natura ideale, ma anche pratica.

Dal punto di vista ideale, non si vede perché una persona non si dovrebbe comportare bene indipendentemente da comandi e minacce, facendo del proprio retto comportamento un valore in sé, di statura morale e intellettuale assolutamente eccezionale, con un’assunzione di responsabilità personali che non hanno uguali nella storia. Dal punto di vista pratico, tale linea di condotta potrebbe ovviare ai contrasti spesso stridenti che caratterizzano morali religiose diverse, soprattutto sulle questioni sulle quali queste divergono. Così facendo la morale, tanto pubblica quanto privata, ritornerebbe a essere una forza sociale unificante, invece che dirompente.

È chiaro che non è semplice concordare tutti su un’unica morale laica, ma a mio avviso una strategia mista — basata su una variazione sul tema dell’imperativo categorico kantiano per quanto riguarda il comportamento individuale e una sorta di etica della responsabilità per quanto riguarda gli aspetti sociali — potrebbe rivelarsi una scelta molto saggia. Soggetta nel tempo ad adattamenti e miglioramenti come la conoscenza scientifica.

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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — Articolo interessante, ma non tiene conto che religioni diverse (anche di tipo “prosociale”) non solo sono caratterizzate da precetti morali differenti, ma si basano anche su concezioni antropologiche differenti (vedi p.es. il diverso valore del “peccato originale” nei monoteismi); inoltre, anche nell’ambito della morale laica possono trovare posto diverse concezioni (anche perché tante morali sedicenti laiche, p.es. quella di Kant, tanto indipendenti dalla religione non sono).
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