2015·05·19 - BabylonPost • Drummond·EB • Libertà, indeterminismo, pulsione

Libertà, indeterminismo, pulsione

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L’essere umano ha sempre cercato di capire il mondo intorno a sé, ma anche la propria mente. Dibattendosi tra determinismo della materia e libertà del pensiero: dilemma da affrontare con la teoria quantistica… o con l’idea della nascita?
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di Edoardo B. Drummond
BabylonPost — 19/05/2015 (martedì 19 maggio 2015)



Leggendo, qualche tempo fa, sul n. 10 del settimanale “Left” l’articolo di Pietro Greco intitolato ‹La battaglia dei neuroni›, abbiamo appreso che un importante progetto di ricerca sul cervello umano, denominato appunto “Human Brain Project”, già finanziato con fondi dell’Unione europea — un miliardo di euro resi disponibili dai contribuenti dei diversi paesi europei, e quindi anche nostri — dovrà essere sottoposto a “revisione tecnica”, in quanto ritenuto troppo mastodontico ed eccessivamente centrato su una concezione computazionale del cervello umano, concezione niente affatto condivisa dalla maggior parte dei ricercatori. Scopo del progetto, al quale sono candidati a partecipare una novantina di istituti di 22 paesi, sarebbe essenzialmente quello di costruire, neurone per neurone, un duplicato virtuale — una copia informatica — del cervello umano, per poterne verificare le modalità di funzionamento. Se consideriamo che il nostro cervello contiene svariati miliardi di neuroni (se ne stimano da 10 a 100 miliardi), appartenenti a molti tipi differenti, e che ciascuno di essi è connesso ai suoi vicini da un numero di sinapsi che può andare in media da 10 a 100 mila, ci si può rendere conto della complessità e dell’impegno per così dire “lavorativo” necessario per poter raggiungere l’obiettivo.

«Il cervello non è una macchina — argomentano i contestatori — Men che meno una macchina computazionale. Il cervello umano, come tutti i sistemi complessi, è più della semplice somma delle sue parti. Ha molte proprietà emergenti». Le ricadute di un simile programma di ricerca — aggiungono — sarebbero più sul piano tecnologico e informatico che sulla comprensione delle modalità di funzionamento dell’organo biologico reale. Perché allora concentrare tutte le risorse su un unico modello di cervello invece di finanziare diversi filoni di ricerca e poi compararne i risultati?

Ora, a parte l’evidente impatto economico, i motivi del grande interesse per questo campo di ricerca sono due: uno medico e uno culturale. Il primo: la possibilità, studiando il funzionamento fisiologico del cervello, di curarne meglio le patologie, in particolare quelle cosiddette “degenerative” (quali Alzheimer, Parkinson, demenza senile) che tendono ad assumere un’incidenza sempre maggiore a causa dell’allungamento dell’aspettativa di vita della popolazione. Il secondo: comprendere il funzionamento «di un sistema complesso — il più complesso che noi conosciamo — con funzioni altissime di cui conosciamo pochissimo. Quali relazioni ha il nostro cervello con la nostra mente, la nostra coscienza, la nostra libertà (il libero arbitrio)? Semplicemente non lo sappiamo».

L’approccio “computazionale” adottato avrebbe scarse probabilità di conseguire avanzamenti su entrambi i fronti; non c’è dunque da stupirsi che molti ricercatori lo ritengano riduttivo e controproducente, oltre che un sostanziale “tradimento” della tradizione di ricerca europea.

[A·5]
Qualche giorno più tardi, mentre ancora infuriano le polemiche relative alla pubblicazione dei ‹Quaderni neri› di Heidegger, sfogliando il n. 2 dell’almanacco di filosofia “MicroMega” di quest’anno, veniamo a scoprire, incastonato fra un dialogo e una controversia tra filosofi, uno stimolante breve saggio del noto fisico Carlo Rovelli, esperto di relatività generale e di gravitazione (insegna attualmente Fisica teorica all’Università di Marsiglia), ma anche divulgatore efficace e di successo. Il saggio è intitolato ‹Libero arbitrio e determinismo›.

Ne ricapitoliamo qui alcuni passaggi (chi volesse approfondire potrà facilmente consultare l’articolo originale). Tra i filosofi presocratici, furono Democrito (460-370 a.e.v.) e la scuola degli atomisti i primi a proporre che tutto quel che esiste al mondo sia costituito da minuscole particelle di materia in continuo movimento, che collidendo e aggregandosi tra loro formano gli oggetti che noi percepiamo (inclusi noi stessi). Poiché il moto e le interazioni fra questi atomi erano ritenute deterministiche, si poneva un problema: come conciliare questa rappresentazione con la libertà di scegliere, caratteristica degli esseri umani?

Per risolvere la contraddizione Epicuro (341-270 a.e.v.) introdusse il concetto di ‹parénklisis›, poi tradotto in latino con ‹clinamen›, una impercettibile variazione casuale nella traiettoria che avvenendo «in un tempo incerto e un luogo incerto» — sono parole del poeta latino Lucrezio — era però capace di propagarsi e di generare nel tempo una variazione imprevedibile nel movimento anche a livello macroscopico.

Attraverso alterne vicende, questa contrapposizione tra determinismo e indeterminismo è proseguita per più di due millenni. Il grande sviluppo delle tecniche di calcolo e la sistematizzazione della meccanica ad opera di Newton (1642-1727) sembrarono avvalorare la concezione atomistica nella versione di Democrito (cioè senza ‹clinamen›), ma al passaggio tra il XIX e il XX secolo, nello studiare le interazioni della materia con l’energia a livello atomico, i fisici scoprirono che gli atomi non erano affatto indivisibili, bensì formati da particelle ancora più elementari, e furono costretti ad ammettere, formulando la meccanica quantistica, che particelle di quelle dimensioni non seguono affatto il rigido determinismo dettato delle leggi newtoniane, ma che è tuttavia possibile prevederne il comportamento in modo probabilistico.

Alcuni fisici tentarono in seguito di leggere questo “indeterminismo” quantistico come la ‹parénklisis› di Epicuro: era possibile che la meccanica quantistica spiegasse il “libero arbitrio” o almeno permettesse la sua coesistenza con l’ineludibilità delle leggi fisiche?

Rovelli — lo diciamo subito — non sembra essere di questo avviso: innanzitutto perché una scelta non prevedibile ma determinata probabilisticamente non equivale alla libertà di scegliere (e qui siamo senz’altro d’accordo: altrimenti dovremmo ritenere anche un dado da gioco “libero di scegliere”); ma in secondo luogo l’indeterminismo quantistico non gli sembra neppure necessario: nel mondo in cui viviamo quotidianamente c’è già una notevole imprevedibilità dovuta al “rumore termico”, ovvero a quell’agitazione disordinata degli atomi che conferisce alla materia una certa temperatura. Tutti gli organismi biologici sfruttano il calore per i loro processi vitali, e sono per questo motivo intrinsecamente imprevedibili.

Ma in che misura, o in quali condizioni, l’imprevedibilità equivale alla libertà? Qui le cose si ingarbugliano un po’, perché secondo l’autore chiunque sarebbe libero in primo luogo se il suo comportamento non è dettato da condizioni o da vincoli esterni, vuoi materiali (per esempio il carcere) vuoi morali (qualcuno che lo controlla). Ma cosa faccio esattamente quando scelgo? Valuto i pro e i contro delle azioni possibili — risponde Rovelli — quindi decido sulla base delle mie conoscenze, delle mie inclinazioni, dei miei stati d’animo. Questa modalità non sarebbe in contrasto con la libertà di scelta, perché il condizionamento è interno e non esterno. Ma allora — l’esempio è dell’autore — posso usare lo stesso concetto di libertà anche per il Rover, quel robot inviato ad esplorare Marte che è in grado di muoversi autonomamente grazie a un sofisticato programma del suo computer di bordo. Anche in questo caso, non possiamo che concordare: se la mia decisione è presa sulla base di un calcolo, ovvero se è razionale, mi metto nelle stesse condizioni del robot. In entrambi i casi la “libertà di scegliere” non è incompatibile con un funzionamento deterministico.

Ma è vera libertà? Il Rover, lo sappiamo, è stato programmato da esseri umani che hanno cercato di prevedere tutte le condizioni in cui si sarebbe potuto trovare, persino i malfunzionamenti dei suoi apparati; possiamo dire lo stesso per l’essere umano? In realtà siamo ancora ben lontani dal capire come funziona il nostro cervello — ammette Rovelli — tuttavia possiamo supporre che in un certo senso esso funzioni come un computer, coordinando le azioni, valutando le condizioni interne ed esterne e stabilendo delle priorità tra i diversi impulsi. Quel che veramente differenzia il robot dagli organismi viventi è la gestione degli eventi casuali: mentre chi ha programmato il robot ha cercato di ridurne il più possibile la portata, gli organismi viventi — che non hanno un progettista né un programmatore — sono invece capaci di sfruttarli nel modo più efficace. Sappiamo infatti dall’‹Origine delle specie› di Darwin che l’evoluzione naturale si basa proprio sulla selezione di variazioni casuali, moderate da processi in grado di stabilizzarne i risultati. Questo equilibrio fra rigidità e caso sarebbe attivo anche all’interno del nostro cervello, e renderebbe il suo funzionamento molto più imprevedibile di quello di qualsiasi computer. In realtà, benché siano state introdotte tecniche per emulare la casualità anche nei computer, esse vengono usate di rado e in modo episodico, mentre sono invece costitutive in tutti i sistemi biologici.

Per quanto possa apparire strano, il caso e l’arbitrarietà possono benissimo coesistere con un comportamento deterministico. A questo punto, per spiegare la compatibilità, entra in gioco il concetto di “sopravvenienza” (‹supervenience›). L’autore fa l’esempio di un palloncino pieno d’aria: apparentemente si tratta di un oggetto assai semplice, potrei descriverne lo stato misurando pochi parametri quali: la sua posizione, il raggio, e la pressione dell’aria contenuta all’interno. Alternativamente potrei invece esaminarne la struttura microscopica e fornire posizioni e velocità di tutte le molecole che lo compongono. Queste sono un numero enorme, comparabile con il numero di Avogadro (un numero che ha 24 cifre prima della virgola decimale), ma in linea di principio, se riuscissi a conoscerne esattamente posizioni e velocità, potrei poi calcolare, sulla base di leggi deterministiche, l’evoluzione dell’intero sistema. Ciò non toglie che, quando disfo il nodo che tiene chiuso il palloncino, questo si svuoti dell’aria che contiene e segua una traiettoria assolutamente imprevedibile, e questo comportamento si può comprendere senza dover ricorrere alle proprietà quantistiche dei suoi atomi. La sua descrizione macroscopica, infatti, può corrispondere a moltissime configurazioni microscopiche, e per quanto lo stato microscopico evolva in modo deterministico, a livello macroscopico posso comunque osservare un comportamento imprevedibile. Il fisico definisce allora i parametri che descrivono lo stato macroscopico del palloncino “proprietà sopravvenienti”.

Nel nostro cervello, ciascun neurone è composto da molecole e funziona già di per sé in modo probabilistico; per questo motivo le decisioni che prendiamo possono essere imprevedibili anche se le singole parti che compongono ciascun neurone seguono leggi fisiche e chimiche deterministiche.

Torniamo adesso alla “libertà di scegliere”. Se vogliamo considerarla non come prima rispetto a vincoli e condizionamenti esterni, ma rispetto ai possibili stati interni, dobbiamo definire meglio che cosa intendiamo per “stati interni”. Se intendiamo «l’insieme delle memorie, dell’educazione, delle emozioni, dei pensieri eccetera» queste sono ancora “proprietà sopravvenienti” (non essendo equivalenti a una descrizione microscopica del cervello o di sue parti) e dunque non è sorprendente che due persone con medesime memorie, educazione ecc. poste nelle stesse condizioni esterne possano decidere in modo differente, proprio come due palloncini apparentemente identici possono seguire traiettorie differenti.

C’è però una differenza tra palloncini ed esseri umani. Riguardo ai primi abbiamo detto che un singolo stato macroscopico può corrispondere a un’infinità di stati microscopici, dobbiamo però notare che non è vero il contrario: uno stato microscopico può corrispondere a un solo stato macroscopico. Possiamo affermare la stessa cosa per le “proprietà sopravvenienti” umane? Rovelli propenderebbe per il sì, anche se precisa subito che questo non significa necessariamente “ridurre” gli stati psichici in termini di stati fisici: «Un libro di poesia — afferma — ha forse più contenuto che la posizione dei suoi atomi: ma possono esistere due libri di poesia con poesie diverse, se la posizione di tutti i loro atomi è la stessa?»

Qui ci imbattiamo in un esempio paradossale, ma significativo: una stessa pagina stampata, che possa esser letta da un occidentale come una poesia di Shakespeare, e da un cinese come una poesia di Li Po (Li Bai, poeta cinese dell’VIII sec. e.v.). La circostanza evocata sembra un po’ tirata al limite, ma ricorda disegni piuttosto noti in psicologia che possono essere interpretati in due maniere differenti. «Due diversi contenuti — commenta Rovelli — corrispondono alla stessa configurazione microscopica. […] non necessariamente il contenuto del testo superviene alla sua configurazione fisica». Ma in questo caso — obietta l’autore stesso — il “contenuto” non è veramente contenuto nel foglio stampato: la poesia è nel lettore che interpreta i segni sulla carta, piuttosto che nei segni stessi; se il lettore è occidentale allora è una poesia di Shakespeare, se invece è cinese allora è una poesia di Li Po. Analogamente, ad una stessa configurazione fisica (neuronale) potrebbero corrispondere stati mentali diversi, se interpretati da persone diverse. Non ha poi tanta importanza — sembra implicare l’autore — se l’osservatore è il soggetto stesso, infatti non è detto che la sua conoscenza del proprio “stato mentale” sia migliore di quella che potrebbe averne un osservatore esterno. E in molti casi potremmo anche essere d’accordo: la “percezione” del proprio “stato mentale” può infatti essere alterata, vuoi per cause fisiche (assunzione di sostanze), vuoi per patologie (neurologiche o mentali); perfino in condizioni fisiologiche esistono stati mentali inconsci o subconsci di cui si sono interessati anche alcuni filosofi (basti ricordare le ‹petites perceptions› di Leibniz oppure ‹das Unbewußte› di Schelling).

Rimane da dirimere una questione finale: «Una decisione “libera” può essere completamente determinata da fattori interni, e quindi dal nostro stato fisico interno?» In altre parole: se fossi in grado di rimettere una stessa persona di fronte a una scelta da fare sempre nelle stesse identiche condizioni, farebbe sempre la stessa scelta, oppure scelte diverse? Nel primo caso — risponde il fisico — evidentemente non ci sarebbe alcuna possibilità di scelta; nel secondo invece la scelta sarebbe casuale, ma ciò significa che potrebbe essere determinata probabilisticamente (in modo analogo a quanto avviene per le particelle quantistiche) e quindi, di nuovo, non potremmo parlare di “libertà di scelta”.

A questo evidente assurdo, Rovelli propone la soluzione escogitata dal filosofo Spinoza nella sua ‹Etica›: noi stessi siamo esseri molto più complessi di quanto non riusciamo a rappresentarci, «sviluppiamo un’immagine del mondo e di noi stessi», cerchiamo «le connessioni causali nel mondo» e «anche in riferimento a noi stessi», ma per l’eclatante rozzezza ed approssimatività di queste nostre immagini, spesso le nostre previsioni falliscono, e allora di fronte a «comportamenti non prevedibili in noi o negli altri, parliamo di libera scelta e libero arbitrio». «Seguendo […] la parte più bella del pensiero di Spinoza: chi “decide” sono io (e chi altro?). Ma “io” non è qualcosa di diverso dagli atomi del mio corpo, che “decidono” seguendo precisamente le leggi della fisica».

«Il libero arbitrio non ha niente a che vedere con la meccanica quantistica» — conclude Rovelli al termine del suo articolo — e «La nostra idea di essere liberi è corretta, ma è solo un modo di definire la nostra ignoranza sul nostro stesso funzionamento».

Concordiamo di buon grado sul primo punto, ma ci sia consentito dissentire sul secondo. Baruch Spinoza era un ebreo sefardita la cui famiglia era stata costretta a emigrare da un cattolicissimo e intollerante Portogallo verso un’Olanda protestante. Ancora giovanissimo aveva studiato ad Amsterdam i testi sacri nelle scuole ebraiche, e a soli 23 anni venne “scomunicato” dai correligionari per le sue idee poco ortodosse, rischiò persino di essere ucciso da un fanatico e dovette trasferirsi a L’Aia. Per le drammatiche vicissitudini della sua vita merita senz’altro tutta la nostra umana considerazione, eppure ci sembra di ricordare che fosse convinto che la realtà materiale, soggetta nel tempo ai mutamenti, di per sé non potesse esistere se non in quanto manifestazione di Dio, che era invece perfetto e immutabile (concezione condensata nella formula ‹Deus sive Natura›); anche questo Dio, poi, non era libero, perché secondo il filosofo la “libera scelta” avrebbe inficiato la sua “onnipotenza” (scegliere significa infatti escludere, privarsi di qualche possibilità); figuriamoci quindi se poteva essere libero l’uomo! Non ci sembra di conseguenza che Spinoza possa essere il personaggio più adatto per perorare la causa del libero arbitrio, ma neanche si può arruolarlo tra i sostenitori del materialismo! Fior di filosofi si sono arrovellati anche dopo di lui per risolvere il problema della dicotomia tra corpo e mente, tra necessità e libertà, e non vi avrebbero impegnato tempo ed energie, se il problema fosse stato già risolto [1].

La soluzione di Spinoza in ogni caso non ci soddisfa, e questo semplicemente perché invece di scrivere il presente articolo avremmo potuto andare al cinema, oppure accomodarci davanti alla televisione e aspettare tranquillamente che gli “atomi del nostro corpo” decidessero per noi, ma non lo abbiamo fatto. Analogamente, chi legge avrebbe potuto fare qualcosa di diverso, e forse — chissà — più interessante. Persino Rovelli, invece di scrivere il suo articolo, avrebbe potuto fare qualcos’altro, oppure scegliere un tema diverso (e lo stesso, ‹mutatis mutandis›, si può affermare per Spinoza e la sua ‹Etica›). Perché invece lo ha scritto, e lo ha scritto in quel modo e non in un altro?

La nostra idea — ma immaginiamo sia comune a molti — è che abbiamo fatto così perché “aveva un senso”, un “senso” che è quello della poesia (che sia di Shakespeare o di Li Po, poco importa), quel “senso” che rende il movimento dell’essere umano completamente diverso non solo dallo svolazzare casuale del palloncino, ma anche dal muoversi dell’animale che lo fa per una qualche necessità materiale.

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Ma che cos’è, questo “senso”? Possiamo ipotizzare che sia riconducibile, anzi “riducibile” al moto dei nostri atomi, molecole, cellule? Oppure possiamo pensarlo come una “proprietà sopravveniente”? A noi sembra innanzitutto che non possa darsi nessun “senso” senza che ci sia libertà: il senso di una parola — per esempio — o di un testo o di un’immagine richiede che quella parola, quel testo o quell’immagine possano essere diverse o non esserci affatto. Se dico «Ti amo» ad una donna, quelle parole hanno un senso perché potevo anche non dirle, dirne altre, oppure dirle in altro modo, e avrebbero avuto un senso diverso. E però è anche vero che potevo restare in silenzio, e comunicare la stessa cosa con uno sguardo, con un regalo, con un bacio.

“È l’intenzione, quel che conta” — è il detto comune — ma che cos’è, l’intenzione? Avevano tentato di occuparsene, i filosofi, un secolo fa, col concetto di “intenzionalità”; ma poi arrivarono Heidegger e il nazismo: anche questa fu colpa degli atomi? O fu piuttosto un deliberato tentativo di bloccare un’evoluzione e una ricerca? La nostra lista della spesa potrebbe contenere più “informazione” di una poesia di Montale, ma una volta utilizzata non ci dice più nulla [2]. Una lunga sequenza di zeri e di uno può lasciarci del tutto indifferenti, eppure è proprio in questa forma che vengono memorizzati su DVD un dramma di Shakespeare o una sinfonia di Beethoven. Un palloncino che svolazza, o l’estrazione dei numeri del Bingo, saranno pure imprevedibili, ma non potranno mai sorprenderci quanto una nuova scoperta, o quanto un’idea geniale. Perché non c’è intenzione.

Determinismo: causa ed effetto nella materia inanimata. Quando la materia diventa biologica lasciano il posto alla dinamica stimolo-reazione, e anche l’animale — così si dice — può essere libero o in cattività; ma si può parlare di “libero arbitrio”? Anche l’animale dopotutto è fatto di atomi, molecole e cellule, e il suo sistema nervoso — se ne dispone — è costituito di neuroni, ma chi potrebbe sostenere che è meno “ignorante”, cioè più “sapiente” dell’uomo?

Quindi in noi esseri umani deve necessariamente accadere qualcosa di diverso, qualcosa che gli psichiatri hanno nominato “pulsione” [3], e che fa sì che possiamo non accettare le cose come stanno, immaginarle in un altro modo, primo passo necessario per poterle poi trasformare concretamente. Al confine tra biologico e psichico, la pulsione ci rende vulnerabili, qualche volta insensati e violenti, ma può anche, quando non è scissa dalla vitalità, rivelarci geniali. Fantasia e socialità, caratteristiche della nostra specie, hanno entrambe origine alla nascita — una “nascita” che gli animali non hanno — e radici nella pulsione e nella vitalità.

E la libertà? «È l’obbligo di essere esseri umani» [4].

Avrebbero potuto Shakespeare non scrivere, Picasso non dipingere, Mozart non comporre?

«A noi basta immaginare, e subito le immagini si fanno vive da sé. Basta che una cosa sia in noi, in noi ben viva, e si rappresenta da sé, per virtù spontanea della sua stessa vita. È il libero avvento di ogni nascita necessaria» [5].

Ma allora, in un certo senso, avrebbero ragione il fisico e il filosofo?

Forse. Non sappiamo bene come accada, ma in fondo a noi bastano il pensiero e la ricerca.


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NOTE
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[1] Per ulteriori considerazioni sull’elaborazione della “dicotomia” tra corpo e mente vedi su “BabylonPost”, E.B. Drummond, ‹IYL2015: Anno della fotonica, della luce divina o di un’identità nuova a Sinistra?› [ora qui; N.d.R.].

[2] Per il concetto di “informazione” e la sua rilevanza nelle ricerche dei fisici, cfr. C. Rovelli, ‹La realtà non è come ci appare›, Raffaello Cortina Editore 2014, cap. 12.

[3] Facciamo qui esplicito riferimento al concetto di “pulsione di annullamento” che nella teorizzazione di M. Fagioli è l’unica pulsione esistente, peraltro specifica dell’essere umano, e che ha fatto giustizia di definizioni generiche e di usi inappropriati del termine. Alla nascita, l’insorgenza della pulsione, con il concorso della vitalità, dà luogo alla fantasia di sparizione; la pulsione di annullamento come “aggressività pura” è invece l’esito di una dinamica psichica patologica successiva; cfr. M. Fagioli, Istinto di morte e conoscenza (1972), L’Asino d’oro 2010, pp. 91-92. Per l’evoluzione storica del concetto di “nulla” e per alcuni sviluppi recenti della ricerca sulla dinamica della nascita si veda anche, su “BabylonPost”, E.B. Drummond, ‹Il vuoto, il nulla teorico, poi quel silenzio della nascita umana› [ora qui; N.d.R.]. L’espressione “idea della nascita” fa riferimento al recentissimo M. Fagioli, ‹L’idea della nascita umana. Lezioni 2010›, L’Asino d’oro 2015.

[4] L’affermazione è tratta da M. Fagioli, ‹Left 2006›, L’Asino d’oro 2009 (‹La libertà è l’obbligo di essere “esseri umani”›, p. 37).

[5] L. Pirandello, ‹I giganti della montagna›; il brano è tratto da un passo riportato in: M. Fagioli, ‹Istinto di morte e conoscenza›, cit., p. 342.

[*] La foto di Rita Hayworth, realizzata dal fotografo Bob Coburn, è quella che venne ritagliata dalla rivista “Esquire” e incollata sulla quarta bomba atomica (A-Bomb) fatta detonare sull’atollo di Bikini il 1° luglio del 1946; alla bomba venne dato il nomignolo di “Gilda” (dal titolo dell’omonimo film), e alla Hayworth l’appellativo di “atomica”.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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[A·5]• «[…] uno stimolante breve saggio del noto fisico Carlo Rovelli […] intitolato ‹Libero arbitrio e determinismo›», il saggio in questione è in realtà la rielaborazione di un contributo di Rovelli a una conversazione di 2 anni prima (agosto 2013) con Lee Smolin, dal titolo ‹Free will, determinism, quantum theory and statistical fluctuations: a physicist’s take›; per chi fosse interessato, la conversazione è ancora consultabile alla pagina relativa del sito edge (https://www.edge.org/conversation/free-will-determinism-quantum-theory-and-statistical-fluctuations-a-physicists-take).

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http://babylonpost.globalist.it/Detail_News_Display?ID=119779&typeb=0&liberta-indeterminismo-pulsione
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